La vicenda de ‘Il Trovatore’ si svolge di notte; è l’ultima notte del Medio Evo, il buio dell’animo umano prigioniero delle superstizioni, dell’odio e dell’ignoranza, l’oscurità in cui si bruciano le streghe, si coltivano sentimenti di inflessibile vendetta, in cui l’amore è espresso come diritto di possesso e la menzogna è sconfitta quando ormai è troppo tardi. ‘Egl’era tuo fratello!’, esclama Azucena alla fine dell’opera; la verità finalmente dichiarata annuncia un’alba di nuova consapevolezza, in cui il Conte di Luna dovrà decidere se e come continuare a vivere (‘E vivo ancor!’).
La trama è ambientata nel XV secolo, epoca in cui gli artisti hanno espresso l’attenzione alla verità umana in un contesto di semplificazione geometrica delle composizioni, nella plastica monumentalità delle figure e nella cerimonialità dei gesti, nell’uso espressivo della luce. Nelle bassedanze – forma tutta italiana di intrattenimento cortese quasi meditativo – lo spazio contiene le evoluzioni dei corpi danzanti in porzioni rigorosamente simmetriche ed in coreografie tese alla ricerca dell’armonia tra gli opposti.
Mi pare che le vicende dei protagonisti de ‘Il Trovatore’ si articolino in spazi emotivi altrettanto simmetrici. Motore della vicenda è la pressione della vendetta che pesa sull’animo di Azucena, che l’ha ricevuta dalla madre e che a sua volta inevitabilmente trasferisce sulle spalle di Manrico. Leonora attorniata dalle religiose nel convento e Manrico accompagnato dai carcerieri nel ‘miserere’ rappresentano momenti paralleli, come pure l’amore di Manrico e del Conte per Leonora, nella quale entrambi cercano la compensazione ed il coronamento dei propri sentimenti estremi. Nella stessa prospettiva, Manrico lascia Azucena per non perdere Leonora, ma in seguito abbandonerà quest’ultima per tentare di salvare la madre.
Lo spazio di ispirazione quattrocentesca che proponiamo per questa regia de ‘Il Trovatore’ si pone come contesto in cui inscrivere proprio questa laboriosa e dolorosa, in fondo ed ovviamente tutta romantica ricerca della verità, intesa come armonizzazione degli opposti. In questo senso, nella proposta preliminare di Domenico Franchi la regia intende rappresentare anche i momenti che abitualmente vengono immaginati ‘fuori scena’, come l’aria iniziale ed il canto dalla torre del Trovatore, la cerimonia della presa dei voti di Leonora ed il miserere intorno a Manrico. Al rigore geometrico delle architetture che evocano il mondo del Conte di Luna si contrappone la rappresentazione dei Gitani, con una proposta coreografica flamenca nel coro ‘Chi del gitano i giorni abbella?’
Personaggio centrale della vicenda è Leonora. All’inizio giovane entusiasta ed inesperta nella gestione di sentimenti ancora sconosciuti e non misurati, sceglie di morire simbolicamente prendendo i voti quando pensa che Manrico sia morto. In seguito, quando Manrico stabilisce la priorità del proprio ruolo di figlio su quello di coniuge (‘era già figlio prima d’amarti, non può frenarmi il tuo martir’) e l’abbandona per correre a salvare la madre Azucena, Leonora evoca la morte come alternativa matura ad una realtà sentimentalmente sconfortante: ‘Non reggo a colpi tanto funesti… Oh quanto meglio saria morir!’ è il suo commento dopo l’aria ‘Di quella pira’.
Questa presa di consapevolezza traccia l’inevitabile cammino Leonora verso la morte volontaria, vittima della notte del cuore, dominata dal conflitto tra l’amore barbaro ed appassionato del Conte ed il sentimento immaturo e deludente di Manrico.
Nel finale dell’opera, la rappresentazione di una ‘pietà’ in cui Azucena regge il cadavere di Leonora, con il Conte di Luna disperato ai suoi piedi celebra l’alba in cui la luce della verità inaugura il riscatto dell’uomo dalla notte dell’ignoranza e della menzogna.
Deda Cristina Colonna