Bernardina del Violin, Candida e Caterina della Viola, Lucrezia e Mariarosa del Violon, Pelegrina dall’Oboe, Adriana e Prudenza della Tiorba, Lucietta e Tonina dell’Organo, Fortunata, Polonia e Gertrude Cantore, Apollonia, Albetta, Bolonesa e Chiaretta sono solo alcuni dei nomi delle famose figlie di coro per cui Antonio Vivaldi compose la musica che esse eseguivano, nascoste da grate alla vista del pubblico che accorreva ad ascoltarle da tutta Europa, impegnandosi tra l’altro a non intraprendere mai una carriera nei teatri d’opera, anche quando fossero uscite dall’Ospedale della Pietà. Le orfanelle ospiti degli Ospedali veneziani vestivano un’uniforme simile ad un abito da religiosa; la divisa della Pietà era rossa.
Nel nostro spettacolo, momenti di azione scenica si alternano a tableaux in cui la musica dell’oratorio Juditha Triumphans è lasciata alla fruizione prevista dal compositore, basata più sul sentiredell’orecchio e del cuore che sulla visione delle prospettive sceniche. L’uso della gestualità retorica settecentesca contribuisce ad una resa teatrale del testo latino, in un agile dispositivo scenico in cui abbiamo immaginato che, per una volta, le figlie di coro potessero portare in scena il capolavoro vivaldiano mostrandosi al pubblico. Affrancate momentaneamente dalla loro invisibilità storica nella fisicità delle interpreti odierne, le putte mettono in scena una società operosa tutta femminile, una riflessione sulla fragilità del potere maschile e sulle armi della seduzione e della trasformazione.
Nella trama d’ispirazione biblica della Juditha Triumphans, una bella e giovane vedova motivata dall’amor patrio è guidata dall’acume strategico della più anziana e pure vedova Arba nella missione che garantirà agli Ebrei il trionfo sui nemici. Obiettivo della strategia di seduzione è il grande condottiero Holophernes – nelle parole di Vagaus ‘dall’ aspetto terribile e soave’ – vittima della propria sete di bellezza, oltre che di vino.
In un tempo come il nostro, ancora piagato da guerre tra popoli, ci piace concentrarci sulle dinamiche della solidarietà tra i personaggi femminili, più che sulle ragioni della loro violenza sanguinaria. Nell’esultanza generale dell’ultima scena, Juditha non potrà liberarsi dal sangue di cui sono sporche le sue mani, prezzo eccessivo per qualsiasi vittoria umana.